Questo sito Web utilizza i cookie per consentirci di offrire la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.
Chapter III
Era davvero fatta, Festinus lo sapeva. È vero che la sua Custode, Tallia, era una donna temibile: determinata, irascibile, poco incline alla trattativa. Era abituata a comandare e quando si arrabbiava faceva più rumore di una gabbia di scimmie. Ma era anche di una curiosità incorruttibile, e questa caratteristica aveva quasi sempre la meglio sui suoi pregiudizi.
Festinus, invece, era un diplomatico per vocazione. Se buttava male, taceva. Quando c’era troppa tensione, sorrideva. Di fronte al disprezzo, faceva spallucce.
Così, ineffabile, il giorno seguente, accolse i suoi ospiti, tenendo in mano tre calici di sidro di Macadam, come un arbitro dandy in un incontro di pugilato. Il suo studio era ampio, immacolato e disadorno. Una scrivania di resina chiara sulla quale ogni cosa era posizionata con cura pitagorica. Due poltroncine poco imbottite. In un angolo, un piccolo tavolo da bar stipato di bottiglie. Bicchieri, shaker e accessori erano custoditi nel ripiano sotto.
Missio Artis accettò il liquore con un gesto naturale, che tradiva una certa frequentazione dell’alcol. La Custode prese in mano il bicchiere come se fosse pieno di topi. Non lo portò alle labbra, non ci si trastullò nemmeno.
Ma Festinus era un illusionista, e sapeva qual che faceva. Aveva invitato Artis sulla Terra perché presentasse un prodotto di Jalo. Voleva fortemente che la Terra lo adottasse e lo inserisse nel bouquet dei suoi trattamenti.
Tutto era cominciato un mese prima, quando una delle sue “missioni esplorative” sui pianeti dell’Unione Galattica lo aveva portato sul piccolo mondo semigemello. Durante una gita-relax con cui le autorità locali intrattenevano gli ospiti illustri, era stato portato in un laboratorio di ricerca cosmetica, di cui Missio Artis era il direttore. Artis, come tutti gli jaloani, aveva l’aspetto di un umano riflesso in uno specchio deformante: aveva la testa leggermente oblunga, le mani molto affusolate, il corpo sottile e ondeggiante che sembrava ricavato da una lamina di metallo. Ma la sua pelle era diafana, di una perfezione mai vista, e brillava con l’opalescenza azzurrata di un morbido ghiaccio, che anche la luce aveva pudore a toccare.
Con un certo compiacimento, Artis aveva ordinato alle sue estetiste di far provare all’ambasciatore terrestre un trattamento, una cosa che si chiamava Jalo3. Festinus era la cavia perfetta: infatti era originario di Pulvis, i cui abitanti avevano la pelle più brutta della Galassia. Se funzionava con lui, funzionava davvero. Quando uscì dallo studiolo delle cure per il viso, il pulviano era estasiato e con in testa una nuova missione, meno esplorativa e più pericolosa: doveva portare quello Jalo3 sulla Terra.
«Dunque, signore, mostrateci che cosa avete di così splendido da mostrarci», sibilò Tallia stringendo il bicchiere come un bastone.
«Certamente, Custode». Artis estrasse da una piccola scatola una boccetta spray che conteneva un liquido. «Questo è Jalo3».
Tallia fece l’espressione di una che si prepara a criticare. «Uh, bene. Siete creativi, a scegliere i nomi».
«Ogni prodotto di Jalo si chiama Jalo. Li distinguono solo i numeri. Così, ogni volta che un nostro trattamento raggiunge un altro pianeta, simbolicamente è Jalo che si diffonde nel cosmo».
«Come gli insetti, insomma». Tallia aveva parlato da regina, ma le cose non andarono come credeva lei.